Contesto

La malattia di Alzheimer e la degenerazione lobare frontotemporale sono due tra le più comuni forme di demenza. Questi disturbi sono stati associati ad aggregati di proteine insolubili che a turno innescano una cascata neurodegenerativa causando l’insorgere della sintomatologia clinica. Ad oggi non sono disponibili delle terapie in grado di agire sul meccanismo molecolare sottostante la malattia (es. accumulo di beta-amiloide nell’Alzheimer e la deposizione di tau/TDP-43 e il dosaggio di progranulina nella degenerazione lobare frontotemporale), ma solo terapie che permettono di migliorare temporaneamente i sintomi manifesti.

Il fallimento di numerosi farmaci sperimentali in pazienti con malattia di Alzheimer conclamata ha confermato l’ipotesi secondo cui i trattamenti vengono effettuati in fase troppo avanzata di malattia per avere efficacia. Sono attualmente in corso studi clinici per pazienti con deterioramento cognitivo lieve dovuto ad Alzheimer, ma ci sono ragioni per credere che anche questo stadio sia troppo avanzato perché i farmaci possano avere effetto. L’attenzione deve essere quindi posta ad una fase ancor più precoce, in cui l’alterazione delle proteine e le relative conseguenze (es. neurodegenerazione) sono minime e le possibilità di bloccare o ritardare la malattia maggiori.

I portatori di una mutazione genetica per la malattia di Alzheimer o per la degenerazione lobare frontotemporale rappresentano una popolazione unica per studiare le fasi precoci di malattia, in quanto alterazioni biochimiche, metaboliche e neuroanatomiche possono essere osservate già diversi anni prima l’esordio dei sintomi. Si tratta di forme di malattia trasmesse in modalità autosomica dominante per cui il 50% dei figli della persona portatrice della mutazione ha la possibilità di ereditarla.

Da una prospettiva traslazionale, i portatori di una mutazione genetica rappresentano un modello unico per testare potenziali farmaci modificanti la malattia all’interno di studi clinici. Oggi conosciamo numerose mutazioni responsabili di alcune forme familiari di malattia, ma altre sono ancora sconosciute. Nel caso della Malattia di Alzheimer, le alterazioni genetiche sono a carico dei geni che codificano per la proteina amiloide (APP), presenilina-1 (PSEN1) e presenilina-2 (PSEN2). Nel caso della degenerazione lobare frontotemporale, le alterazioni genetiche più frequenti sono causate da mutazioni nei geni che codificano progranulina (GRN) e TAU (MAPT) e da una eccessiva espansione della sequenza ripetuta del gene C9ORF72.

Il Network si colloca in un contesto caratterizzato da due importanti iniziative multicentriche internazionali per lo studio delle forme autosomico dominanti di demenza: negli Stati Uniti e in Gran Bretagna il Dominantly Inherited Alzheimer Network (DIAN) sulla malattia di Alzheimer; in Europa e Canada lo studio GENetic Frontotemporal Dementia Initiative (GENFI) sulla degenerazione lobare frontotemporale.